Ascolta: Chopin preludio op.28 n° 15
Vi propongo il preludio n°15 di Chopin accompagnato da questa guida all’ascolto:
Nella vita della natura c’è un ruolo che è creativo di umanità: quello del genio.
Il genio è un carisma eminentemente sociale, più acuto degli altri, e gli uomini si sentono più espressi nella sua creatività che neanche se si mettessero a esprimersi da soli. Così, noi sentiamo le nostre malinconie meglio espresse dai ritmi di Chopin o dai versi di Leopardi che neanche se noi stessi ci mettessimo ad articolare note o parole sull’argomento.
Per esempio: siamo malinconici, tu e io siamo malinconici. Mettiamo su un disco di Chopin. Arriva un terzo amico anche lui malinconico, che sta fischiettando un’arietta triste inventata da lui. Appena comincia Chopin l’amico tace, perché Chopin esprime la tristezza che ci accomuna molto meglio dell’aria fischiettata estemporaneamente.
Avevo sentito decine e decine di volte La goccia di Chopin, perché piaceva molto a mio padre. E anche a me, man mano che diventavo grande – nove anni, dieci anni… -, è incominciato a piacere, perché la melodia in primo piano è facile a intendersi ed è molto gradevole. Il primo ascolto del pezzo mi imponeva la suggestività della musica in primo piano.
Ma dopo decine e decine di volte che lo avevo ascoltato, una volta, mentre ero seduto in sala, mio papà mise su ancora questo pezzo: improvvisamente ho capito che non avevo compreso niente di quello che era “la goccia”.
Infatti, il vero tema del pezzo non era la musica in primo piano, quella melodia immediata, tenera e suggestiva. Non era l’ascolto istintivo del pezzo che faceva emergere la sua verità: il suo significato vero era una cosa apparentemente monotona, tanto monotona da ridursi a una nota sola che si ripete continuamente, con qualche leggera variazione, dal principio alla fine. Ma quando un uomo s’accorge di questa nota, è come se il resto passasse ai margini, diventasse come la cornice di un quadro: il quadro è fatto tutto solo di questa nota che diventa come una fissazione, e l’io, dal principio alla fine, è come percosso continuamente da questo sentimento dominante.
Quel giorno ho capito, senza poterlo pronunciare in discorso, ho intuito di che si trattava. Ho detto a me stesso: «Così è la vita!». Il brano di Chopin è bellissimo perché è simbolo della vita.
Nella vita l’uomo è percosso dalle cose che lo inteneriscono e lo attraggono più istintivamente, che gli piacciono, gli sono di comodo, di gusto. Insomma, domina l’istintivo, l’immediato, il facile, il travolgente. E invece la vita sta al di là della musica in primo piano: è una nota sola dal principio alla fine, da quando si è fanciulli a quando si diventa vecchi. Una nota sola! Quando uno s’accorge di questa nota non la perde più, non può più perderla: resta una fissazione, ma è la fissazione che fa il saggio, il sapiente, l’intelligente. È la fissazione che fa l’uomo: il desiderio della felicità.
Quella è la nota che dal principio alla fine domina e decide del significato di tutto il brano di Chopin, che decide dal principio alla fine cos’è la vita dell’uomo: sete di felicità. Qualunque cosa ti piaccia, ti attiri e desideri, al momento ti fa lieto, ma subito dopo passa. Eppure c’è una nota che rimane intatta, con qualche leggera mutazione, ma dal principio alla fine rimane intatta nella sua profondità e, nella sua semplicità assoluta, nella sua univocità, domina tutta la vita: la sete di felicità. Quella è la nota della vita, mi accompagna come il pensiero mio: se lo tirassi via, la vita non avrebbe più dignità. La fantasia di colori e di forme in cui la vita si esprime diventerebbe una cesta di stracci, senza origine, scopo, significato. Per chi non percepisce più questo la realtà diventa meschina, si tratti di famiglia, amicizia, compagnia, ceto, Stato o popolo.
Tutti gli artisti, in qualche loro pezzo più bello degli altri, hanno il genio di ricomporre e ripetere questa monotonia che è più bella di qualsiasi variazione.
Se uno, ascoltando questo preludio, segue la nota come fissazione, è come se non riuscisse più a fiatare, perché è come “troppo pieno”, tanto che in uno degli ultimi momenti del brano la nota si ritrae e la musica in primo piano sembra averla vinta. Come dire: «Finalmente ci siamo! Finalmente siamo liberi!». E nello spazio restituito scandisce due, tre, quattro note. Ma uno ha appena finito di pensare: «Siamo liberi», che quella fissazione riprende e conclude il pezzo. La sete di felicità, il destino di felicità si può, per breve tempo, obliterare, dimenticare, ma ritorna come l’urgenza senza la quale l’uomo non può vivere: inizia e finisce il breve brano della nostra vita.
Occorre che quella nota sia riconosciuta da noi in noi stessi, perché l’io è come un brano di musica fatto di quella nota, che ha come tema quella nota, anche se le cose che più fanno impressione sono quelle più superficiali: il piacere immediato, il gusto immediato, la riuscita immediata, l’impressione immediata, la reazione, ciò che è istintivo.
Quella nota distrugge continuamente l’istintivo e impedisce che tu ti fermi, ti arresti, perché l’istintivo dell’amore, della bellezza, del gusto del lavoro, della riuscita ti fossilizza, ti impietrisce. Al contrario è quella nota dominante che sbriciola le pietre e muove tutta la realtà del tempo e della nostra vita, la muove come l’acqua del fiume muove i ciottoli, come il mare muove la sabbia. Per questo tutte le domande che l’uomo può fare, tutte le attese che può avere, vanno a finire a questa nota: la sete di felicità.
Introduzione di don Luigi Giussani al cd della collana Spirto Gentil: Fryderyk Chopin, Brani scelti; Nikita Magaloff, Philips (1999, cd n. 10).
Aggiungo solo una cosa:
La sete di felicità è una cosa che va presa sul serio ed è necessario farci i conti fino in fondo. Questo innanzitutto: guardare il bisogno di infinitezza di cui siamo costituiti. Poi come uno riesce a dargli una risposta è un altra storia..
Per me quella goccia è un costante richiamo al fatto che ripongo la mia speranza su una certezza di bene che ho visto su di me. Non è una tortura, è un aiuto, indispensabile per capire chi sono.
La goccia è un invito discreto che Dio ha messo nel nostro cuore per ricordarci di cercarlo. Ecco, questo penso.
Ciò che mi stupisce sempre è la discrezione di Dio. Non obbliga nessuno. E’ così discreto che se non stai attento (=con cuore aperto) rischi di non sentirla quella nota, frastornato dal chiasso delle cose da fare e del mondo di oggi.